Contusioni, distorsioni, strappi: quali sono gli infortuni tipici del calcio?
Quali sono gli infortuni tipici del calcio? Al pari di ogni altro sport che prevede il contatto fisico, ma non solo a causa di questo, anche il calcio porta con sé una serie di rischi che interessano specifiche zone del corpo.
In linea generale, gli infortuni nel calcio professionistico sono in aumento, principalmente a causa di alcuni cambiamenti intervenuti nel corso degli ultimi anni. Se per gli appassionati questo tipo di cambiamenti rendono il gioco più accattivante ed emozionante, per chi è in campo tutto ciò si traduce in un maggior rischio di incappare in un infortunio. Cosa è che in questi anni ha contribuito a rendere questo sport una disciplina più rischiosa per gli atleti?
Innanzitutto la maggiore velocità delle azioni e la rapidità con la quale sono eseguiti i gesti atletici, le nuove modalità e i ritmi più intensi di allenamento, il ricorso a tattiche di gioco che rendono necessaria una maggiore prestanza fisica. Da non sottovalutare nemmeno l’aumento sostanziale del numero di match che vengono disputati in un anno e di conseguenza la difficoltà a svolgere per intero il programma di allenamento predisposto all’inizio della stagione, comprese le attività di prevenzione e riabilitazione.
Per quanto sgraditi, gli infortuni sono una parte integrante del calcio moderno. Per capirne di più e per conoscere meglio le tendenze e i modi per ridurre i rischi, nel 2011 la commissione medica UEFA ha prodotto uno studio concentrato sui 10 anni precedenti che ha preso in considerazione le fasi finali di tutti i campionati UEFA, di squadre maschili e femminili, analizzando all’incirca 10.000 infortuni. Ad essere analizzate sono state la frequenza di gioco (partite e allenamenti) e la ricorrenza dei vari tipi di infortunio. Tutto ciò ha permesso ai club di raccogliere informazioni utili, condividendo i dati e rendendo possibile l’elaborazione di nuove tecniche sugli infortuni, sui tempi di recupero e sul tipo di trattamento da effettuare. Come spiega il professor Jan Ekstrand, vice presidente del comitato medico dell’UEFA, “quello che gli infortuni dipendano dalla fortuna è un luogo comune. Dietro ci sono sempre delle motivazioni, tutto sta nell’individuarle”.
Venti anni fa l’infortunio più comune era la distorsione della caviglia. Oggi non è più un problema, almeno ai massimi livelli; questo perché i professionisti hanno individuato la maniera migliore per trattare e prevenire questo incidente. Nel calcio di questi ultimi anni il problema fondamentale è costituito dagli infortuni muscolari (al bicipite femorale soprattutto, diventato ormai il tipo di infortunio che ha più incidenza).
Al di là degli incidenti che interessano il bicipite femorale, quali sono gli altri infortuni tipici del calcio? Possiamo innanzitutto individuare due tipologie di infortuni, all’interno delle quali troviamo diverse tipologie di danno.
Le contusioni sono traumi dovuti alla forte compressione di un elemento esterno sulla superficie del corpo, o dall’urto del corpo contro un ostacolo. Nel calcio, le contusioni possono derivare dal contrasto più o meno violento con un avversario (a volte anche con un compagno di squadra) o dal contatto con il terreno (ad esempio in seguito ad una caduta). In caso di contusione leggera, il sangue che si concentra al di fuori dei vasi causa un’ecchimosi limitata al tessuto sottocutaneo; in caso di contusione più marcata, il sangue si infiltra nei tessuti e provoca un ematoma. Il modo migliore di trattare una contusione è quella di applicare rapidamente del ghiaccio: quando ci troviamo di fronte a danni di maggiore entità, è opportuno procedere al drenaggio, trattando in seguito la zona interessata con un bendaggio compressivo e con l’assoluto scarico del peso (se la zona interessata è un arto).
Le lussazioni, ed in particolare quelle delle caviglie, sono un altro degli infortuni tipici del calcio. L’evento che si verifica con più frequenza è quello che comporta una rotazione all’interno del piede, dovuta ad una caduta in avanti del giocatore e spesso associata ad un qualche tipo di predisposizione (quindi una debolezza congenita o meno dei legamenti della caviglia). Più rara, e quasi sempre legata ad una frattura, è la lussazione con rotazione verso l’esterno. Molto dolorosa, la lussazione rende impossibile il movimento e in alcuni casi può prevedere danni ai tessuti nervosi o ai vasi sanguigni. Per far sì che i danni restino contenuti, la prassi è quella di ridurre la lussazione e di immobilizzare l’arto. In caso di infortunio recidivo, con lussazioni ripetute che interessano lo stesso arto, la probabilità di avere a che fare con una caviglia caratterizzata da una debolezza strutturale è alta e l’opzione dell’intervento chirurgico è altamente consigliata.
Uno degli eventi peggiori nei quali può incappare un calciatore è sicuramente la frattura della gamba. Ne esistono due tipi, una cosiddetta normale e causata da un colpo la cui intensità supera la resistenza dell’arto. Può interessare numerose ossa, nel calcio le più diffuse riguardano la parte inferiore della gamba oppure la caviglia. Nella parte bassa della gamba la frattura può interessare tibia e perone; il tipo di trattamento dipende chiaramente da posizione e tipo di frattura, e può prevedere un intervento di riallineamento delle ossa (ad esempio nel caso della tibia). I tempi di recupero sono all’incirca di 6-8 settimane, in caso di ossa più grandi (come ad esempio la tibia) si può arrivare fino a 6 mesi.
La seconda tipologia di frattura è quella da stress, non causata da un colpo ma da piccoli traumi ripetuti nel tempo. Come tutti gli infortuni da fatica è comune nelle fasi di precampionato. Può interessare diverse ossa, e viene solitamente trattato come gli altri infortuni da fatica, quindi allenamenti separati e rinforzo graduale dei tessuti. Le fratture da stress raramente richiedono interventi chirurgici.
Un’altra zona particolarmente delicata per un calciatore è il tendine d’Achille: è il tendine più forte che abbiamo nel corpo, può sopportare circa 500 kg di peso. La rottura totale del tendine è molto rara nei giocatori giovani. Il problema più comune è la tendinite, causata in genere dall’abuso dell’utilizzo del tendine, con allungamenti continui. Come in altri infortuni di questo tipo, il giocatore avverte dolore all’inizio della sessione di allenamento, che poi diminuisce con il riscaldamento per ritornare in seguito. Questo è l’andamento tipico degli infortuni da abuso e la maniera migliore per trattarlo è quello di lasciar lavorare da solo il giocatore, con carico e sforzo minore, evitando assolutamente gli esercizi che provocano dolore e aumentando progressivamente il carico.
Tutti ci ricordiamo della smorfia di dolore di Ronaldo durante la finale di Coppa Italia del 2000. Una smorfia diventata il simbolo della fragilità del Fenomeno ma anche della rottura dei legamenti del ginocchio, un altro tra gli infortuni tipici del calcio. Quelli più importanti sono i due legamenti crociati (si trovano al centro del ginocchio, servono a stabilizzarlo nei movimenti in avanti e indietro), poi c’è il legamento collaterale (che si trova all’interno), che invece serve dare stabilità nei movimenti laterali. Gli infortuni al legamento collaterale mediale, che si trova all’interno, sono molto comuni in caso di rotazione del ginocchio. Normalmente, questo tipo di incidente è un infortunio che riesce a guarire senza la necessità di un intervento chirurgico. I tempi di guarigione dipendono dall’entità dell’infortunio (un mese a volte, ma la maggiorparte delle volte almeno 3). La riabilitazione prevede un graduale ritorno all’utilizzo del ginocchio. A provocare la rottura del legamento sono due tipi di situazioni: quando il piede è saldamente ancorato al terreno di gioco con i tacchetti e quando si subisce un contrasto che induce la rotazione. Il dolore forte e il fatto che il ginocchio si gonfi entro 6 ore è un’indicatore tipico della rottura del collaterale. In alcuni caso è necessario sottoporsi ad un intervento di ricostruzione, con un tendine dalla parte posteriore o anteriore del ginocchio che viene posizionato al posto di quello danneggiato. Per la completa riabilitazione sono necessari da 6 a 9 mesi.
Di gravità inferiore, ma di frequenza molto elevata, è lo stiramento del bicipite femorale, quel gruppo muscolare che si trova sul retro della gamba ed è molto importante nel calcio. L’infortunio a questo gruppo è molto comune nel calcio, soprattutto in quello di alto livello, e si verifica in seguito a movimenti forzati, rapidi o in corsa (cambiamento di direzione, salto, atterraggio o torsione). Si calcola che nel corso di un anno, una formazione con 25 giocatori può incorrere in questo tipo di problema per 5-6 volte. Può avere diversi gradi di gravità: dal semplice crampo alla rottura di alcune fibre (strappo parziale o totale). Per il recupero si va dalla settimana per le lesioni più contenute fino ai 4 mesi di stop per quelle più gravi.
Un altro “grande classico” tra gli infortuni tipici del calcio è lo strappo, un infortunio al muscolo o al tendine, che molto frequentemente si verifica nella regione inguinale. Il bacino è circondato da molti muscoli, il più importante è l’adduttore, che si trova nella parte interna della gamba. Si può infortunare compiendo movimenti estremi della gamba, che causano tensione sul muscolo. In questo caso il giocatore avverte un dolore acuto, conseguenza della rottura (che si verifica in genere in seguito a movimenti energici: salti e cambi di direzione in particolare). Pe trattarlo si ricorre al metodo cosiddetto metodo RGC (riposo, ghiaccio e compressione) con riabilitazione graduale e sessioni separate. Molto spesso le rotture di questo tipo si verificano nel precampionato, periodo nel quale si effettuano tanti esercizi di tipo aerobico e i giocatori nn sono pienamente condizionati, e i tessuti non sono rinforzati a dovere.